lunedì 24 dicembre 2007

Cosa significa comunicare un prodotto agroalimentare?


La qualità dei prodotti che portiamo sulle nostre tavole è stata il filo conduttore del forum che si è svolto a Orvieto. Una due giorni ricca di eventi e di incontri, organizzati e voluti dalla Fondazione Qualivita, istituzione nata proprio con lo scopo di divulgare e proporre la qualità nel campo dell'agroalimentare. Qualità che è stata declinata sotto tutti i suoi aspetti: da cosa la determina al ruolo dei vari protagonisti della filiera, dai compiti delle istituzioni fino a quello, fondamentale, della comunicazione.
Da questo punto di vista uno dei fiori all'occhiello del meeting umbro è stato rappresentato dalla presenza di Juergen Knauss, chief executive della Heye & Partner e vera e propria star del mondo della comunicazione agroalimentare a livello internazionale. E' stato lui a raccontare al pubblico presente cosa significa oggi comunicare un prodotto agroalimentare. «Non è un compito semplice, ma spesso agenzie e clienti hanno la tendenza a rendere la cosa più complessa di quanto sia. In realtà il consumatore richiede una comunicazione che sia semplice da comprendere, specialmente quando riguarda il concetto di qualità. La chiave è riuscire a informare e, al tempo stesso, emozionare».
A Juergen Knauss, che lavora in tutti i continenti, non sfugge la differenza tra il consumatore europeo e quello americano: «In Europa, pur facendo le dovute differenze tra i vari Paesi, esiste un rapporto quasi storico con cibo e vino. Un prodotto di questo settore vale perché destinato a durare nel tempo, perché ha tradizione e, al tempo stesso, futuro. Il consumatore medio americano richiede un alto grado di efficacia immediata ed è attirato dal concetto 'più è, meglio è'. Certamente due approcci diversi dei quali è bene tenere conto».
E per quanto concerne i prodotti italiani di qualità, qual è il modo migliore per comunicarli a un pubblico internazionale? «Nel caso dell'Italia la magia del prodotto è nei vostri stessi prodotti».

domenica 23 dicembre 2007

Guerrilla Marketing


Sono passati più di venti anni dalla pubblicazione del libro di Jay C. Levinson, ed il Guerrilla Marketing è diventato maggiorenne: evidentemente papà Levinson non poteva stare con le mani in mano e, spronato dal rapido sviluppo della sua creatura, si è cimentato in un’altra impresa editoriale, stavolta in coppia con Paul R.J. Hanley. Sono i due guru del marketing alternativo a tornare con Guerrilla Marketing Revolution sull’argomento per tracciare l’evoluzione di un modello di comunicazione che in questi anni ha dimostrato una tale duttilità da divenire rapidamente la parole chiave sulla bocca dei responsabili delle principali aziende, pronunciata anche dai suoi detrattori, agitata come un feticcio davanti al naso di creativi ed account, ignari di quello che si andava loro – e si va ancora – chiedendo. Chi dunque avesse accumulato qualche lacuna al riguardo potrà cominciare a colmarla a partire da novembre con un salto in libreria, per acquistare una copia della prima traduzione in italiano della Bibbia dei guerriglieri, quella edita nel 1983, Guerrilla Marketing, pubblicata finalmente da Castelvecchi. Nessuna scusa quindi, neppure per chi dell’inglese ha appreso solo il "cut and paste": secondo alcune anticipazioni infatti l’italianissima versione del libro conterrà anche interessanti case-history provenienti dalla penisola.

Ora si punta su strategie mirate


Le migliori performance sui mercati esteri sono espresse dai prodotti "top price". Sembrerebbe finito il tempo delle promozioni uguali per tutti. Lo sviluppo del commercio estero apre a un’innovativa definizione di made in Italy(24 Novembre 2007 TN 41 Anno 5)di C. S.«E’ evidente che dobbiamo evolvere la nostra definizione di Made in Italy, perché le nostre produzioni sono un mix di origine e capacità di elaborare prodotti d’eccellenza».Ciò implica l’adozione di nuove strategie per sostenere le imprese sui mercati internazionali. Lo ha detto Ezio Castiglione, capo di Gabinetto del Ministero delle politiche agricole a conclusione della presentazione della ricerca Agrifood/Nomisma sulle prospettive del commercio estero italiano che ha elaborato una nuova chiave di lettura delle produzioni italiane sulla base del loro posizionamento sul mercato mondiale.La strada percorsa da Nomisma per analizzare la situazione è innovativa. Infatti il posizionamento dei prodotti italiani sui mercati esteri è stato trovato valutando cinque variabili: i prodotti con origine territoriale certificata (quindi derivanti da materia prima italiana) in base alla quota di mercato occupata; il prezzo unitario all’export selezionando i comparti che spuntano sui mercati internazionali prezzi almeno del 50% superiori a quelli medi delle esportazioni mondiali; la specializzazione produttiva, cioè i prodotti in cui l’Italia detiene una posizione di assoluta leadership, con una quota sulle esportazioni mondiali pari almeno al doppio della quota di mercato occupata dai prodotti Made in Italy agroalimentari nel loro complesso; la diffusione nel mondo, intesa come numero di Paesi raggiunti per valutare la notorietà delle produzioni agroalimentari italiane; le imitazioni dei nostri prodotti, valutando in particolare quelli che sul mercato degli Stati Uniti detengono nel loro segmento una quota di almeno il 10% a scapito del prodotto vero italiano.Con il nuovo paradigma di Nomisma, ne è convinto Castiglione, si supera l’empasse nel quale ci si dibatte da anni su che cos’è Made in Italy (origine delle materie prime contro capacità di trasformare) e questo permette di pensare alle strategie che valorizzino raggruppamenti omogenei di prodotti.Rispetto all’andamento generale del settore, i comparti che registrano incrementi dell’export maggiori sono quelli che puntano su segmenti di mercato di fascia alta; il valore delle esportazioni del Made in Italy Top Price (cioè di quelli che sul mercato mondiale spuntano prezzi del 50% superiori a quelli medi delle esportazioni mondiali) è, infatti, aumentato del 26,8% tra il 2002 e il 2006 mentre, nello stesso periodo, la crescita complessiva del settore si è fermata al 14,6%. Si tratta di insaccati e prosciutti, preparazioni a base di carne e di pesce, formaggi stagionati, grattugiati e freschi, riso lavorato, aceti, ortaggi, ma anche caffè, cacao e derivati del cacao per il quali un peso importante è rappresentato dalla forza del marchio commerciale che il accompagna.I prodotti che secondo la nuova declinazione proposta da Nomisma hanno invece un peso maggiore sull’intero made in Italy sono quelli legati alla specializzazione produttiva (41,7%) e quelli con un alto grado di diffusione (immagine) sui mercati internazionali (40,7%). Fra i primi oli di oliva, pasta, gelati, vini, aceti, conserve di pomodoro, mele, pesche, formaggi freschi e grattugiati, insaccati e prosciutti. Fra i secondi pasta, prodotti da forno, vini, conserve di pomodoro (seconde dopo la pasta nella categoria dei prodotti più imitati), riso lavorato, salse e condimenti, formaggi stagionati, insaccati e prosciutti. Quanto rilevato da Nomisma viene confermato anche dall’indagine, sempre svolta per Agrifood, sulle prospettive dell’agroalimentare veronese, realizzata attraverso un questionario somministrato a un campione rappresentativo di aziende. Anche per gli operatori della provincia leader nell’export agroalimentare con 1,4 miliardi di euro nel 2006 (preceduta solo da Cuneo, ma perché sul quel territorio ha la sua sede una multinazionale dell’alimentare), il primo degli ostacoli alla crescita sui mercati d’oltre confine è la mancanza di un’adeguata promozione. Lo ha testimoniato anche Michele Bauli, presidente Raggruppamento Agroalimentare Veneto, il quale ha affermato che «bisogna rafforzare il marchio Made in Italy e le istituzioni devono dare gli strumenti per conoscere i partner giusti sui mercati esteri».«Questa nuova chiave conoscitiva è messa a disposizione da Fiera di Verona con Agrifood per essere sempre più strumento di marketing per le imprese e di servizio per il sistema Paese – afferma Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere –. Grazie alla lettura innovativa che ne esce, le politiche di promozione del Made in Italy possono finalmente focalizzare le risorse per gruppi di prodotti omogenei in termini di posizionamento o per fasce di mercato che si vogliono raggiungere. Questo permetterà di diventare più efficaci».Del resto – ha detto Ersilia Di Tullio di Nomisma – “è sui mercati esteri la possibilità delle imprese italiane di crescere e aumentare il proprio fatturato».

Lancio di un extravergine sui mercati


ECCO I PASSAGGI ESSENZIALI ED IL RUOLO DEL SELEZIONATORE DELLA QUALITA' ALLE PRESE CON LA CREAZIONE DI UN BLEND


Fondamentale lo studio del mercato, in relazione alla ricerca dei bisogni – anche latenti, inespressi o semplicemente non ancora soddisfatti – del consumatore. Ogni singola fase del processo di creazione del prodotto va sempre testata tramite interviste individuali e focus group.La professione del “selezionatore di qualità” non si limita alla sola scelta degli extra vergini da utilizzare per formulare i blend.L’assaggiatore professionista partecipa insieme con il Marketing a tutte le fasi di studio del mercato che anticipano il lancio di un prodotto destinato a soddisfare una specifica esigenza del consumatore.Le strade che portano alla creazione di un nuovo prodotto sono molteplici.L’idea di un nuovo concetto può nascere dal “genio creatore” del Marketing; da un’analisi della concorrenza e della sua offerta; o dallo studio del mercato in relazione alla ricerca dei bisogni – anche latenti, inespressi o semplicemente non ancora soddisfatti – del consumatore.In ogni caso, prima di procedere comunque con la creazione del prodotto stesso, e di una sua ben precisa immagine, e quindi di un packaging e di una comunicazione ben definiti, il Marketing, in sinergia con gli Istituti di ricerca, dovrà capire se una semplice idea o, nel migliore dei casi, un concetto già delineato possa suscitare l’interesse del consumatore.Non è facile, giacché per ogni categoria merceologica si fanno largo nel consumatore una serie di pregiudizi, talvolta inconsci, che impediscono al miglior concetto di prodotto di avere il successo che meriterebbe. Per tale motivo, ogni singola fase del processo di creazione del prodotto va sempre testata tramite interviste individuali e dei focus group.Una volta che il concetto di prodotto risulta accettato e ritenuto interessante dal consumatore, si può dunque procedere con la creazione del blend.In questa fase, il Marketing e il settore Qualità lavorano congiuntamente al fine di realizzare, a livello pratico, l’idea di prodotto preventivamente approvata dal consumatore.Il Marketing spiega esattamente che tipo di prodotto si deve creare. L’ufficio Qualità, tramite le analisi chimico-fisiche-organolettiche e i vari test, spiega se e come può essere realizzato il prodotto che si ha in mente di ottenere. Senza il supporto tecnico dell’assaggiatore in questa fase iniziale, si tralascerebbe una parte importante e delicatissima che può per contro arrivare a condizionare, piuttosto sensibilmente, il successo del progetto in proiezione futura sul mercato. Non solo infatti si rischia di investire su un progetto concettualmente irrealizzabile, ma, seppure superata tale fase in qualche maniera, si rischia comunque che il consumatore – ormai attento nel percepire la qualità di un prodotto, anche senza una formazione specifica – non accetti più il risultato, a causa ad esempio del sapore non del tutto apprezzabile dell’olio, o, più semplicemente, perché quell’olio lo percepisce in ogni caso troppo lontano dalle proprie aspettative. Pensare che il consumatore si accontenti di una buona comunicazione, e insieme di una buona immagine, per acquistare un determinato prodotto, è una concezione superata e fondamentalmente errata, soprattutto oggi in cui vi è una maggiore sensibilità intorno agli aspetti qualitativo del prodotto.A questo punto, entra in campo il selezionatore, il quale, con la sua esperienza e con la sua creatività, studia un profilo sensoriale ben definito, garantendo così al consumatore non solo la qualità e la genuinità del prodotto, ma anche un profilo e un ben definito flavor che appaghi pienamente le aspettative a livello edonistico.Proprio in ragione del forte appeal che oggi in tanti riconoscono all’olio extra vergine di oliva, tale alimento, che non è solo da ritenere un puro e semplice condimento, ma molto di più, deve essere considerato anche in tutta la sua portata e valenza edonistica, non soltanto per le sue già note qualità nutrizionali e salutistiche. Occorre pensare, durante la creazione di un blend, al fatto che tale alimento diventi di per se stesso un vero piacere da degustare a tavola. Assaporare un buon olio, infatti, è come apprezzare un buon vino, o un buon formaggio o tanti altri buoni e nobili prodotti.L’arte di creare blend apprezzabili dal consumatore, impone di acquisire anche una serie di esperienze e di studi che portino ben presto a definire tale professione con dei connotati ben definiti

Un prodotto tutto da svelare

Olive da tavola. Queste sconosciute. Le si gustano volentieri, ma è raro trovarne. Dove comprarle, come fare la scelta giusta e come utilizzarle? Se si pensa ai banchetti, nel reparto ortofrutta, dei supermercati poco si è invogliati all’acquisto. Eppure stiamo parlando di un prodotto che sta registrando sempre più l’attenzione del consumatore e i dati di mercato, in crescita, ne sono una conferma. Manca, però, la giusta attenzione da parte del comparto produttivo e mancano validi strumenti di promozione rivolti ai consumatori. Dati inequivocabili indicano, come questo segmento di mercato, se non sottovalutato, potrebbe rappresentare fonte di profitti per nulla trascurabili. Non esistono solo due grandi categorie di olive: verdi e nere, le varietà disponibili sono innumerevoli e il colore indica solo il diverso grado di maturazione delle stesse. Nel 2000 il Coi, il Consiglio Oleico Internazionale ha pubblicato il Catalogo mondiale della varietà di olivo e da esso sono state estrapolate alcune fra le più importanti cultivar provenienti dai maggiori paesi produttori del Mediterraneo. Per distinguerle è opportuno valutare e mettere a confronto elementi caratterizzanti come la pezzatura, il rapporto polpa-nocciolo, la consistenza ed altro ancora. I metodi di lavorazione e di conservazione del frutto ci fanno rendere conto di come l’oliva richieda delle attenzioni particolari, a volte perfino difficili da comprendere. I criteri guida elaborati dal Coi nel 2004 sono ancora in via di perfezionamento e di sperimentazione, ma ciò non impedisce certo un approccio professionale all’assaggio.

A scuola di Marketing del vino


Ecco una carrellata di testi che nella biblioteca di chi si interessa al marketing del vino proprio non possono mancare. Ad oggi, nelle edizioni italiane, sono due i libri di testo che fanno da caposaldo della marketing-cultura enoica. Il primo, edito da Franco Angeli è Marketing del vino e del territorio di Riccardo Pastore, economista ed esperto di marketing. Questo testo che ha già raggiunto la quarta ristampa, accanto all’approccio da manuale affianca anche una serie di casi aziendali come esemplificazione di quanto scritto. Qui si passa da un'introduzione generica sul marketing all'approfondimento relativo al vino in particolare con tanto di SWOT analysis relativa al mercato italiano e internazionale. I casi aziendali includono quelli del Consorzio di tutela del Gavi e della Cantina La-Vis e Val di Cembra. Il secondo manuale è invece l'edizione adattata per l'Italia di un testo francese, opera di Emmanuelle Rouzet e Gérard Seguin dal titolo Il marketing del vino. Un testo snello ma completo che si differenzia dal primo perchè oltre alla parte manualistica affronta anche le tecniche di vendita (distinte per canale di distribuzione), le strategie commerciali, inclusa una sezione sulla vendita nelle fiere di settore. Una grossa attenzione sul tema della commercializzazione viene dato anche da Wine Marketing, testo pubblicato da Agra Editrice in collaborazione con Nomisma (al momento in cui viene pubblicato questo articolo il testo è disponibile solo in inglese). Ad ogni modo, rispetto ai due precedenti manuali, in questo caso si tratta di un libro-fotografia del mercato, in cui oltre ai dati che purtroppo subiscono l'invecchiamento precoce, nella seconda parte si trova un molto più interessante quadro degli importatori e dei distributori, in una sorta di rubrica-vademecum.