domenica 20 settembre 2009

Le feste di partito al tempo della comunicazione digitalizzata.

Quelle appena concluse, sia a livello nazionale che locale, da destra a sinistra, evidenziano tutte che il format è giunto al capolinea. Sull'argomento è opportuno riflettere.
Le feste popolari dei partiti di massa erano la sintesi del rapporto tra politica e società. La festa era comunicazione, metteva in contatto, costruiva relazioni. La festa era anche una dimostrazione di forza, di dedizione, di spirito di servizio. La festa, soprattutto quella del Pci, era anche un cavallo di Troia, diminuiva le distanze, penetrava nelle roccaforti dei pregiudizi ideologici: i comunisti mangiavano panini e non bambini! Offriva momenti "unici": mostre di pittura, esperienze di avanguardia, dibattiti; dava voce a coloro che erano fuori dall'establishment e organizzava i primi grandi raduni musicali. È significativo che proprio mentre si inaridisce l'esperienza delle feste politiche sbocci la stagione di quelle "culturali": queste raccolgono un'esigenza comunque diffusa che la politica non sa più cogliere. Così le feste politiche al pari delle forme partitiche hanno vissuto l'inesorabile processo di secolarizzazione della società strettamente connesso alla mediatizzazione della sfera pubblica: personalizzazione, leaderizzazione, spettacolarizzazione. La festa politica è ormai un prodotto obsoleto, e da strumento di apertura si è trasformato in strumento autoreferenziale, da investimento comunicativo in costo organizzativo. Le feste politiche sono la metafora più efficace del difficile rapporto che intercorre tra azione politica e società, quello che chiamiamo rapporto con il territorio o radicamento.
La questione all'ordine del giorno è: come si organizza nella società mediatizzata la presenza di una libera associazione di donne e uomini che vogliono interessarsi di politica, quali forme dovrà assumere nel tempo della comunicazione digitalizzata (tv ma anche internet) la risposta a quella domanda di relazioni umane ravvicinate che appare crescere (e non decrescere) all'aumentare dell'intensità tecnologica? Insomma, che senso ha aderire e far vivere un'associazione politica che non si riduce solo a comitato elettorale? Le difficoltà della politica italiana in generale sono soprattutto culturali, legate alla comprensione dei cambiamenti avvenuti nella nostra società. Quali sono le ragioni di fondo dei cambiamenti che abbiamo vissuto? Quanto di queste ragioni dipende dai limiti degli altri e quanto dai nostri? E quanto dai limiti complessivi del nostro paese? Non tutto può essere ricondotto a Berlusconi, anzi egli appare spesso il frutto, non la causa, dei cambiamenti. Non sembri ingiusto verso i tanti che ci hanno dedicato tempo e i tantissimi che le hanno frequentate ma il format delle feste che abbiamo vissuto è superato, è inefficace. È parte di una cultura politica in estinzione. Da "partiti nuovi" come PdL e PD ci si aspetta una risposta "straordinaria" su come, nella società odierna, si debba vivere , agire, esistere.

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